Tra marzo e maggio 2018, si è tenuta la terza serie di seminari, ospitati in videoconferenza dal Programma di Studi Italiani della University of Notre Dame con la collaborazione dell’OVI.
I seminari sono stati dedicati a testi letterari in italiano antico delle Origini, del tempo di Dante e del Trecento, affrontati da una duplice prospettiva, più attenta agli aspetti linguistici e filologici quella degli studiosi dell’OVI (o invitati dall’OVI), focalizzata sugli aspetti critici, storici e letterari quella degli studiosi di (o invitati da) Notre Dame.
Hanno partecipato come relatori, nell’ordine:
Pär Larson (OVI)
Demetrio Yocum (University of Notre Dame)
Giuseppe Marrani (Università per Stranieri di Siena)
Filippo Gianferrari (Vassar College)
David Lummus (Stanford University)
Cosimo Burgassi e Speranza Cerullo (OVI).
Pär Larson
Ancora sul Frammento piacentino: nuove letture e interpretazioni
L’antico testo poetico italiano convenzionalmente noto come “Frammento piacentino”, fatto conoscere da Claudio Vela durante un memorabile seminario di studi nel 2004, non ha ricevuto le attenzioni da parte degli studiosi che ci si sarebbe potuto aspettare, trattandosi di una composizione del secolo XIII trasmessa insieme alla sua musica (cosa rara, in Italia). Si propone una nuova analisi del ms. con alcune modifiche della ‘vulgata’ e una lettura complessiva, con proposte interpretative nuove.
Demetrio Yocum
Kenosis e il linguaggio creaturale della lode nel Cantico di San Francesco
Comunemente indicato come la prima grande creazione poetica della letteratura italiana, e tra i testi più scandagliati dalla critica filologica e letteraria degli ultimi secoli, il Cantico di San Francesco offre ancora oggi un importante spazio d’indagine e di riflessione. Il seminario si propone di riesaminare, anche alla luce di una Vita del santo ritrovata di recente (2015) e attribuita a Tommaso da Celano, alcuni aspetti particolari del testo evidenziandone specifiche tematiche teologiche relative al rapporto tra creato, uomo, e Dio.
Giuseppe Marrani
Oltre la parodia. Commentare i sonetti di Cecco Angiolieri
I sonetti ad oggi riconosciuti come angioliereschi possiedono una notevole varietà di espressione e una vivace pluralità di ispirazione finora mai messe in luce. L’originalità della poesia comica dell’Angiolieri, volentieri aperta allo scherno giullaresco e non appiattita sull’autoritratto di meschino e frustrato gaudente resta tuttora da scoprire, in particolar modo per quel che riguarda le rime d’amore, spesso lontane dall’appiattimento parodico e piuttosto animate dalla rappresentazione di una scellerata e pur fervida voluttà.
Filippo Gianferrari
‘Poca favilla, gran fiamma seconda’ (Par. I 34): Cino, la lettera di San Giacomo e la Pentecoste della Commedia
Perché Dante scrisse la Commedia? La critica sembra aver trovato una risposta a questa domanda nell’ultima terzina di Par. 1 34-36, in particolare nella speranza che “con miglior voci si pregherà.” Il seminario si propone invece di guardare alla sententia che apre questa terzina: “poca favilla gran fiamma seconda” come chiave per interpretare l’intera terzina. Offre, quindi, un’analisi degli usi tradizionali di questo proverbio, e mostra come Dante, evocando sia un sonetto di Cino che la lettera di san Giacomo, offra una profonda intuizione sulla natura della sua poesia.
David Lummus
Intertestualità e storia in Decameron IX 1. Boccaccio tra Cavalcanti e Dante
La relazione propone un’interpretazione di Decameron IX.1 che prende in esame i collegamenti tra la rappresentazione della fol’amors all’interno di un’ambientazione storica verisimile e la poesia di Cavalcanti e Dante. Si mostra come la storia sviluppi i motivi del servitium amoris e di Eros Thanatos per discutere la realtà politica dell’epoca attraverso la lente della riflessione poetica sul desiderio.
Cosimo Burgassi e Speranza Cerullo
Tradurre dal latino in italiano nel Trecento: due casi di studio
La traduzione delle grandi opere della latinità classica e di testi di carattere devozionale rappresenta un’operazione culturale di vasta portata che, a partire dagli ultimi decenni del Duecento e per tutto il secolo successivo, accompagna lo sviluppo e il consolidamento della lingua volgare in Italia. Attraverso gli esempi delle Deche liviane e della Leggenda aurea, l’intervento propone un’analisi comparata di alcuni aspetti della prassi traduttoria fra i due grandi versanti, classico e religioso, dei volgarizzamenti italiani.